L’ansia e lo stress: sono compagne della nostra vita?
“Alcune persone sono così abituate a vivere lo stress che non ricordano come era la vita senza di esso”. (Andrew Bernstein)
Ansia e stress sono le due facce della stessa medaglia ed hanno numerose caratteristiche comuni: tant’é vero che esiste: Un’ansia buona, moderata, un’ansia cattiva, come pure uno stress buono ed uno stress cattivo.
Numerosi studi indicano che c’è rapporto di causa ed effetto fra eventi stressanti ed ansia e che tutto dipenda dalla maggiore o minore vulnerabilità della persona, attraverso l’attivazione fisiologica di certe zone del cervello, del sistema nervoso autonomo, (indipendente dalla nostra volontà) e le stimolazioni del sistema nervoso simpatico e parasimpatico, antagonisti tra loro.
Ma potremmo vivere senza ansia? Molti filosofi, psicologi e psichiatri ritengono di no. Alcuni sostengono che l’ansia abbia una funzione protettiva, altri che essa dimori nelle radici della nostra essenza umana. In realtà, siamo tutti un po’ ansiosi, anche se ci sono non poche persone che lo sono di più ed altre che lo sono tanto, ma tanto di più da condurre una vita tragica. Un esame, un incontro di lavoro, l’attesa di una notizia, un cambiamento, un ritardo, ma anche solo una telefonata.
L’attacco di panico: descrizione e approfondimenti
“Un uomo che teme di soffrire, soffre già di quello che teme”. (Michel de Montaigne)
Per comprendere l’attacco di panico, iniziamo con il dire che Il termine “panico” ha origine proprio dal nome mitologico del dio Pan, che si divertiva a provocare con la sua presenza inaspettata, e all’improvviso, terrore e panico appunto (le vittime cadevano in preda a tale angoscia da avere la sensazione di morire). E’ il disturbo psicologicopiù noto e antico e, oggi, anche il più diffuso. Non esiste alcuna motivazione che possa giustificare tanta paura.
Quanto dura o può durare un attacco di panico? -può durare poco, (non superano quasi mai di 15 minuti) ma la sua intensità e forza è tale che la persona colpita può perdere il senso del tempo ed essere convinta di soffrire molto più a lungo.
La caratteristica essenziale di un attacco di panico: È un periodo preciso di intensa paura o disagio ed è spesso accompagnato da un senso di pericolo o catastrofe imminente e da urgenza da allontanarsi. Devono essere presenti almeno 4 dei seguenti sintomi somatici o cognitivi:
1. paura di morire; 2. paura di perdere il controllo della situazione o di “impazzire”; 3. depersonalizzazione e/o de-realizzazione; 4. palpitazioni, pulsazioni rapide e ben avvertibili; 5. dolore o peso o fastidio al petto; 6. vertigini o senso di sbandamento o di testa vuota; 7. sudorazione profusa; 8. difficoltà di respiro accompagnata da affanno o senso di soffocamento o di asfissia; 9. tremori a grandi scosse; 10. nausea o disturbi addominali; 11. brividi o vampate di calore, parestesie, tremori; 12. sensazioni anomale come formicolio o lieve solleticamento.
“L’ossessione è quando qualcosa non vuole lasciare la tua mente”.
(Eric Clapton)
Le caratteristiche essenziali del Disturbo Ossessivo – Compulsivo (DOC)sono;
OSSESSIONI o COMPULSIONI che sono: – idee; – pensieri; – rappresentazioni interne; – azioni; – comportamenti; che si presentano: – insistentemente ed incoercibilmente; – senza adeguata o comprensibile motivazione affettiva della coscienza del soggetto.
Vengono vissute come: – Proprio pensiero, intrusive e inappropriate e causano ansia e disagio marcati. Vengono denominate con il termine “egodistoniche”, l’individuo, cioè, ha la sensazione che il contenuto delle ossessioni sia estraneo, non sia sotto il proprio controllo, non in “sintonia” con il proprio pensiero che si aspetterebbe di avere.
Comunque, l’individuo è capace di riconoscere che le ossessioni sono il prodotto della sua mente e non vengono imposte dall’esterno.
I pensieri, impulsi, o immagini non sono semplicemente preoccupazioni eccessive riguardanti problemi reali della via.
L’individuo, pur riconoscendo l’inopportunità e la illogicità, cerca di respingere tale contenuto “parassita”, senza riuscirvi o riuscendovi con notevole sofferenza, solo in parte o per brevi periodi.
L’individuo cerca di ignorare o sopprimere tali pensieri o impulsi o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni (cioè compulsione)
Ad esempio, una persona afflitta dal dubbio d non aver spento il gas cerca di neutralizzarlo controllando ripetutamente per assicurarsi di averlo spento.
Le compulsioni sono:
– comportamenti ripetitivi (cioè lavarsi le mani, riordinare, controllare…) o azioni mentali (per es.pregare, contare, ripetere mentalmente delle parole) il cui obiettivo è quello di prevenire o ridurre l’ansia o il disagio e no quello di fornire piacere o gratificazione.
Nella maggior parte dei casi, la persona si sente spinta a mettere in atto la compulsione per ridurre il disagio che accompagna una ossessione o per prevenire qualche evento o situazioni temuti.
Il Disturbo d’Ansia Generalizzato: approfondimenti
“L’ansia è l’interesse che si paga su un guaio prima che esso arrivi”. (William Ralph Inge)
Il disturbo d’ansia generalizzato si si distingue per la diretta esperienza di un’ansia tanto duratura e persistete da sembrare “diffusa”.
La caratteristica di questo disturbo è la presenza:
– di ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, costanti, per almeno 6/9 mesi, nei riguardi di una quantità di eventi o attività; – l’individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione; – sono accompagnate da irrequietezza, facile faticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità; – tensione muscolare, sonno disturbato.
La persona trova difficile impedire che i pensieri preoccupanti interferiscano con l’attenzione ai compiti che sta svolgendo e ha difficoltà ad interrompere la preoccupazione.
Le preoccupazioni possono riguardare:
– le più svariate circostanze quotidiane, abitudinarie come responsabilità lavorative, problemi economici, salute propria e dei familiari, disgrazie per i propri figli, o piccole cose come faccende domestiche, fare tardi agli appuntamenti.
“La mente che è ansiosa per gli eventi futuri è avvilita.”
(LUCIO ANNEO SENECA)
Si parla di ansia patologica o nevrotica
Quando è:
– Intensa; – Persistente; – Non corrisponde a situazioni realmente penose, pericolose, minacciose; – Quando fa sentire deboli e dipendenti dagli altri; – Quando si manifesta con un forte disagio interiore, accompagnato da un senso di impossibilità a condurre una vita normale.
In questo caso:
– Può influenzare tutta la vita psichica; – Può sconvolgere ogni attività intellettuale; – Alterare la percezione e l’attenzione; – Disorganizzare la vita cosciente e il comportamento individuale.
“L’ansia è l’interesse che si paga su un guaio prima che esso arrivi”. (William Ralph Inge)
L’ansia (in questo caso meglio definita come ansia reale) è uno stato d’animo che sperimentiamo quasi ogni giorno e che in condizioni normali, ci consente di affrontare le sfide della quotidianità, manifestandosi innanzitutto come tensione positiva e carica psicologica.
Ma come, quando e perché l’ansia si traduce allora in un invincibile rivale?
Anche in base alla mia esperienza professionale di Psicologo clinico a Roma, posso affermare che se superiamo il livello di guardia, essa può trasformarsi da stimolo ad emozione paralizzante, da spinta al successo ad insormontabile ostacolo nei rapporti con gli altri, con se stessi, fino ad assumere le forme più violente e devastanti dell’angoscia e dell’attacco di panico.
“La maggior parte di ciò che chiamiamo ‘personalità’ è determinato dalle scelte che abbiamo fatto per difenderci dall’ansia e dalla tristezza”.
(Alain de Botton)
Secondo la forza e la lunghezza del decorso, possiamo distinguere Ansia cronica o Disturbod’Ansia generalizzato
Quest’ultima si distingue per la diretta esperienza di un’ansia tanto duratura e persistente da sembrare “diffusa”. La caratteristica di questo disturbo è la presenza: – Di ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, costanti, per almeno 6 mesi, nei riguardi di una quantità di eventi o attività; – L’individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione; – Sono accompagnate da irrequietezza, facile faticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità; – Tensione muscolare, sonno disturbato.
La persona trova difficile impedire che i pensieri preoccupanti interferiscano con l’attenzione ai compiti che sta svolgendo e ha difficoltà ad interrompere la preoccupazione.
L’intensità, la durata, la frequenza dell’ansia e della preoccupazione sono eccessive rispetto alla reale probabilità o impatto.
Le preoccupazionipossono riguardare svariate circostanze. E’ chiaro che l’ansia, quando supera un certo livello richiede un dispendio troppo oneroso di energie e porta ad un disagio insopportabile e limitante. Quindi bisogna trovare una via di uscita.
Possiamo allora prevenire i disturbi di ansia?
Gli ansiolitici possono essere un rimedio momentaneo, a volte non sempre efficace e appropriato. Secondo alcuni psicologi americani il fattore più importante su cui intervenire è lo stress che spesso è la causa primaria, immediata e diretta dei disturbi stessi e che quindi va ridotto attraverso queste modalità:
saperlo affrontare e mitigare;
sentirsi competenti: la persona terapeuta di se stessa;
valutarsi positivamente:
avere l’appoggio sociale – relazionale.
Una volta compreso che è quanto mai utile e vantaggioso diventare terapeuti di se stessi possiamo migliorare le nostre capacità di far fronte all’ansia oltre che i nostri sensi di competenza e di autostima. Qualunque cosa intendiamo fare per uscire dall’ansia richiede un continuo e serio impegno personale.
Così si creano delle misure e si alzano delle barriere contro l’ansia attraverso le varie tecniche disponibili che sono numerose, come per esempio l’esercizio fisico e le strategie di rilassamento e attraverso interventi mirati sull’ambiente oltre che sulla persona, come ricorrendo ad un percorso psicologico.
“L’ansia non ci sottrae il dolore di domani, ma ci priva della felicità di oggi”.
(Charles H. Spurgeon)
L’Ansiaè un fenomeno naturale, è sempre presente nella nostra vita, anche se in maniera più o meno sfumata, è la compagna inevitabile di tanti nostri modi di agire.
Tuttavia da tensione positivae carica psicological’ansia si può tradurre in un invincibile rivale se superiamo il livello di guardia e può trasformarsi da stimolo ad emozione paralizzante, da spinta al successo ad insormontabile ostacolo nei rapporti con gli altri, con se stessi, fino ad assumere le forme più violente e devastanti dell’angoscia e dell’attacco di panico.
L’American Psichiatric Association (1994), in merito alla definizione dell’ansia, descrive l’ansia come “L’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuri, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione. Gli elementi esposti al rischio possono appartenere sia al mondo interno che a quello esterno” (APA, 1994; cit. in: Franceschina et al., 2004, p. 213).
“Ci sono tre modi per rovinare una società: con le donne, che è il più comodo; con il gioco, che è il più veloce; coi computer, che è il più sicuro.”
(OSWALD DREYER-EIMBCKE)
Le varie fasi della malattia e la relativa cura.
Così come promesso, eccomi a tornare sull’argomento del Gioco d’Azzardo Patologico (GAP).
In questa occasione procederò ad un approfondimento delle varie fasi della malattia e della relativa cura. Pertanto, posto che esiste una malattia, come tutte le altre di origine psicologica esistono varie fasi, ed eccone una schematizzazione:
– Fase vincente: in una prima fase, il Giocatore “malato” si diverte, è gratificato dall’azzardo. Spesso vince, prova eccitazione e tensione fisica reale. Si sente onnipotente e sottovaluta i rischi.
– Fase perdente: la fortuna gira e il giocatore comincia a perdere. Il divertimento e l’abitudine, possono sconfinare nella patologia. Questa è una fase di forte rischio;
– Fase di disperazione: il tempo ed il denaro destinati al gioco crescono e con essi i debiti e la depressione;
– Fase critica: Chasing (letteralmente “rincorrere le perdite”). La persona malata vede il gioco come unica forma di riscatto per pagare i debiti contratti e rimettere in sesto la propria situazione economica e le relazioni che si sono ormai deteriorate. Ma non è così: il malato è ormai entrato i un circolo vizioso che lo porta a pensare solo come procurarsi, non sempre legalmente, il denaro per giocare.
– Le conseguenze ovvero la fase in cui si distruggono le relazioni sono molteplici come ad esempio, causa lo stress di chi vede la propria vita crollare, che ha come conseguenza molti disturbi fisici: emicranie, ulcere, malattie cardiache, insonnia, coliti, dolori di stomaco, etc.;
– Co-dipendenza: il giocatore malato cade di frequente in più dipendenze, soprattutto quelle da alcol e droga.
– Fase di crescita: il recupero della persona, che può riuscire soltanto con una terapia adeguata di cura e sostegno.
Ma il Gioco d’Azzardo Patologicosi può curare?
La risposta è positiva: si può curarema è necessario un intervento terapeutico strutturato, perché siamo di fronte ad una malattia cronica, come tutte le dipendenze.
La cura ha i seguenti obiettivi: l’astinenza dal comportamento di abuso e un cambiamento di stile di vita (sobrietà) per dare la forza di resistere contro le possibili ricadute.
Come si cura?
Con trattamenti multi professionali e integrati.
La persona dipendente tende a negare o minimizzare il problema e credere che “se solo volessi, potrei smettere… domani…”
Il primo compito dello specialista deve essere quello di aumentare il livello di consapevolezza della malattia e motivazione alla terapia con una serie di colloqui (individuali o di gruppo).
Il passo successivo è la stipula di un contratto terapeutico tra il paziente, la famiglia e il terapeuta, che prevede la definizione del programma di interventi e comprende:
– un eventuale ricovero;
– colloqui individuali;
– gruppi psicoterapeutici e psicosi-educazionali;
– terapia psicofarmacologica;
– gruppi per i familiari;
– Tutoraggio economico per il piano di risanamento dei debiti;
– Interventi sociali per affrontare le eventuali questioni legali e socioeconomiche (consulenze del Difensore Civico, di uno Studio legale, di uno Studio Commerciale, della Fondazione Antiusura, del Microcredito, ecc.);
– Coinvolgimento della famiglia nella gestione terapeutica del paziente e aiuto per far conoscere questa particolare malattia;
– Attivazione di una rete di sostegno sociale istituzionale e del volontariato (Caritas, Servizio Sociale Comunale, Gruppi di auto-aiuto, Associazioni di volontariato, Enti ausiliari, ecc.).
Il Gioco d’Azzardo Patologico – Definizione e terapia
“Il giocatore non sarebbe felice se qualcuno gli desse il denaro della vincita.”
(ENNIO FLAIANO)
A proposito di gioco d’azzardo patologico (GAP) è’ ormai sotto gli occhi di tutti che le opportunità per scommettere, e quindi giocare d’azzardo, si sono più che moltiplicate in questi ultimi anni.
Dalla vecchia e amata schedina del Totocalcio, siamo passati a scommesse quotidiane, fatte anche on line e questo vale anche per i casinò che si sono trasferiti da limitate località della Penisola al web.
Per non parlare poi celle cosiddette slot machine, vere e proprie macchine mangia soldi che quasi ipnotizzano il giocatore facendogli perdere la cognizione del tempo e dei soldi che sta spendendo (o meglio, buttando).
Ma cos’è il gioco d’azzardo? Qual è la sua storia e come è arrivato fino ai giorni nostri diventando ormai una vera e propria patologia?
Il gioco d’azzardo è un’attività ludica che ha tre caratteristiche fondamentali:
– si gioca per ottenere un premio (denaro, beni materiali, buoni ecc.);
– per giocare si deve rischiare una somma più o meno ingente di denaro o equivalenti (propri beni ecc.);
– la vincita dipende più dal caso che dalla bravura del giocatore.
Il gioco d’azzardo nella storia:
Se ne parla già in testimonianze del 3000-4000 a.C.
Il termine “azzardo” deriva dal francese “hasard“, a sua volta parola di origine araba, “az-zahr“, che significa “dadi“.
Il gioco dei dadi è uno dei primi, si praticava già in Egitto, nella Roma Imperiale, in India, in Giappone e in Cina.
Gli archeologi hanno ritrovato persino dadi “truccati” (appesantiti da un lato) e questo significa che anche gli antichi sapevano barare. Col tempo sono nati molti altri giochi, come le scommesse sui cavalli (“lo sport dei re”) e, dal 1500, le lotterie. La roulette fu inventata nel XVI secolo dal filosofo Blaise Pascal, mentre le slot-machine nel 1895 dall’americano Charles Fay.
Fatte queste interessanti premesse, cominciamo a porci delle domande e la principale è la seguente: il Gioco d’azzardo patologico è una vera malattia?
La risposta è sì. È una malattia molto pericolosa e perfino mortale.
Il suicidio, tra le persone che ne sono affette è quattro volte superiore alla media.
Il Gioco d’Azzardo patologicoè assimilabile al gruppo dei disturbi ossessivo compulsivi.
Come in ogni malattia, anche il gioco d’azzardo ha tre categorie di sintomi: fisici, psichici e sociali
Ma come si arriva ad ammalarsi di Gioco d’Azzardo Patologico (GAP)?
Così come esistono bevitori sociali e fumatori occasionali, esistono i giocatori sociali, per i quali il gioco d’azzardo rimane un divertimento (circa il 95-96% dei giocatori o di chi beve alcolici).
Per alcune persone, tuttavia, quello che sembrava un’abitudine si trasforma in una vera e propria “schiavitù”. Alcuni di queste persone hanno una predisposizione alla dipendenza per fattori di natura biologica, ambientale e psicologica.
Il fumo, l’alcol, il gioco d’azzardo rimangono un semplice “vizio”, per quanto criticabile, finché non insorgono le caratteristiche tipiche della dipendenza e cioè:
– La tolleranza: bisogno di avere più sostanza o giocare di più per ottenere lo stesso livello di eccitamento;
– L’astinenza: nervosismo, ansia, tremori se si tenta di smettere;
– La perdita di controllo: pensi di poter smettere, ma senza riuscirci.
Va inoltre aggiunto che la malattia, a differenza del “vizio” produce certamente un danno concreto alla persona. Prima di tutto sulla salute e nel caso del gioco anche economico.
Adesso poniamoci altre domande: Chi è il giocatore malato?
Come cambia la sua vita?
Il giocatore malato è solitamente una persona narcisista, dipendente e impulsiva, ma con una bassa stima di sé.
Il giocatore compulsivo non può fare a meno di giocare, ma pensa di poter smettere quando vuole.
Con il proprio comportamento compromette e poi distrugge le sue relazioni con gli amici, con il partner e i figli, quelle lavorative, (trascurando e svolgendo male i propri compiti), etc.
L’argomento, come vedete, è lungo e complesso e pertanto mi propongo di approfondire il tutto in un successivo post dove parleremo delle varie fasi della malattia e della relativa cura.
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