Il Gioco d’Azzardo Patologico, o anche GAP
“Ci sono tre modi per rovinare una società: con le donne, che è il più comodo; con il gioco, che è il più veloce; coi computer, che è il più sicuro.”
(OSWALD DREYER-EIMBCKE)
Le varie fasi della malattia e la relativa cura.
Così come promesso, eccomi a tornare sull’argomento del Gioco d’Azzardo Patologico (GAP).
In questa occasione procederò ad un approfondimento delle varie fasi della malattia e della relativa cura. Pertanto, posto che esiste una malattia, come tutte le altre di origine psicologica esistono varie fasi, ed eccone una schematizzazione:
– Fase vincente: in una prima fase, il Giocatore “malato” si diverte, è gratificato dall’azzardo. Spesso vince, prova eccitazione e tensione fisica reale. Si sente onnipotente e sottovaluta i rischi.
– Fase perdente: la fortuna gira e il giocatore comincia a perdere. Il divertimento e l’abitudine, possono sconfinare nella patologia. Questa è una fase di forte rischio;
– Fase di disperazione: il tempo ed il denaro destinati al gioco crescono e con essi i debiti e la depressione;
– Fase critica: Chasing (letteralmente “rincorrere le perdite”). La persona malata vede il gioco come unica forma di riscatto per pagare i debiti contratti e rimettere in sesto la propria situazione economica e le relazioni che si sono ormai deteriorate. Ma non è così: il malato è ormai entrato i un circolo vizioso che lo porta a pensare solo come procurarsi, non sempre legalmente, il denaro per giocare.
– Le conseguenze ovvero la fase in cui si distruggono le relazioni sono molteplici come ad esempio, causa lo stress di chi vede la propria vita crollare, che ha come conseguenza molti disturbi fisici: emicranie, ulcere, malattie cardiache, insonnia, coliti, dolori di stomaco, etc.;
– Co-dipendenza: il giocatore malato cade di frequente in più dipendenze, soprattutto quelle da alcol e droga.
– Fase di crescita: il recupero della persona, che può riuscire soltanto con una terapia adeguata di cura e sostegno.
Ma il Gioco d’Azzardo Patologico si può curare?
La risposta è positiva: si può curare ma è necessario un intervento terapeutico strutturato, perché siamo di fronte ad una malattia cronica, come tutte le dipendenze.
La cura ha i seguenti obiettivi: l’astinenza dal comportamento di abuso e un cambiamento di stile di vita (sobrietà) per dare la forza di resistere contro le possibili ricadute.
Come si cura?
Con trattamenti multi professionali e integrati.
La persona dipendente tende a negare o minimizzare il problema e credere che “se solo volessi, potrei smettere… domani…”
Il primo compito dello specialista deve essere quello di aumentare il livello di consapevolezza della malattia e motivazione alla terapia con una serie di colloqui (individuali o di gruppo).
Il passo successivo è la stipula di un contratto terapeutico tra il paziente, la famiglia e il terapeuta, che prevede la definizione del programma di interventi e comprende:
– un eventuale ricovero;
– colloqui individuali;
– gruppi psicoterapeutici e psicosi-educazionali;
– terapia psicofarmacologica;
– gruppi per i familiari;
– Tutoraggio economico per il piano di risanamento dei debiti;
– Interventi sociali per affrontare le eventuali questioni legali e socioeconomiche (consulenze del Difensore Civico, di uno Studio legale, di uno Studio Commerciale, della Fondazione Antiusura, del Microcredito, ecc.);
– Coinvolgimento della famiglia nella gestione terapeutica del paziente e aiuto per far conoscere questa particolare malattia;
– Attivazione di una rete di sostegno sociale istituzionale e del volontariato (Caritas, Servizio Sociale Comunale, Gruppi di auto-aiuto, Associazioni di volontariato, Enti ausiliari, ecc.).